Vivere le prime file in uno stadio da 90.000 persone, bhè, era un’esperienza da provare. Era ancora una volta la prima esperienza di un concerto “open air”. Ancora una volta all’estero. Per gli AC/DC.
Era passato un mese dal nostro ultimo show indoor in quel di Dublino, in Irlanda. Questa era una data particolare, alla quale tutti e tre (io, Marco e Andrea) volevamo partecipare. Non era solo una location speciale (nel 2001 fu usata per le riprese del video Stiff upper Lip live) ma era soprattutto la seconda data dell’open air tour 2009. E che c’era di così tanto speciale? Semplice. Nei tour passati della band, specialmente nell’ultimo Stiff upper Lip tour, la tournèè degli stadi che ha sempre seguito le date indoor invernali ha riservato chicche e sorprese nella scaletta dello show. 8 anni prima infatti erano state rispolverate gemme come Up to my neck in you, What do you do for money honey, Problem child, che non venivano suonate da decenni. Stessa cosa per le club dates nel 2003, durante le quali furono eseguiti brani ancora più particolari. Di conseguenza, era normale aspettarsi qualche novità con l’arrivo delle date all’aperto. Andrea aveva partecipato alla data di apertura a Lipzia, sempre in Germania. Una data balorda, come tante in questo tour, che cadevano su un giorno infrasettimanale. Un problema per parecchie persone, compreso me, che avrebbero dovuto prendere più giorni di ferie senza poter sfruttare il week end. Decidetti così, insieme a Marco, di presenziare alla data successiva (quella di Monaco appunto) esattamente due giorni dopo, di Venerdì.
E’ il 15 Maggio 2009. Mi trovo con Marco, Andrea e sua moglie Alessandra fuori dai cancelli dell’Olympiastadium, con ancora sullo stomaco il pesce fritto mangiato in uno squallido self service poco distante (l’unica fonte di cibo nei dintorni).
Non c’è ancora tanta gente e decidiamo di posizionarci al gate di ingresso indicato sul nostro biglietto, ovviamente per i posti sul prato. Nei giorni precedenti mi ero imposto nella maniera più assoluta di non guardare la scaletta della prima data, per nessun motivo al mondo volevo perdermi le brezza di ascoltare e scoprire man mano le canzoni della setlist. Sembra una cosa scontata ma, attraverso internet, soprattutto gestendo il principale fan site italiano, sarebbe bastato poco per rovinarsi la sorpresa: un’email, un titolo di un topic, una news aperta per caso. Tenere il computer spento il giorno prima fu la soluzione più efficace. Per una volta avrei voluto tornare indietro di 15 anni, quando andare ai concerti era sempre e comunque una novità: nessuna foto, solo passaparola tra i fans, a volte recensioni su riviste (che dovevano comunque essere comprate). Oggi è tutto a portata di clic, gratis. Un vantaggio si, ma a mio parere è una “magia” andata perduta. Diciamo che la missione “non sapere la scaletta” fu un successo, anche se c’era un ultimo “ostacolo” da non sottovalutare: trovarsi ai cancelli insieme ai fans più accaniti, ovviamente riconoscibili dai giubbotti ricoperte di toppe AC/DC. Se prima c’era il rischio di leggere, ora c’era la possibilità di udire qualcosa, sarebbe bastato anche uno dei titoli giunti all’orecchio e puff, sorpresa svanita. Proprio per questo motivo ce ne stavamo buoni buoni tra noi, evitando, per una volta (e a malincuore), di chiaccherare con altri…colleghi.
C’era comunque qualcosa che non andava. Andrea non era così entusiasta. Un velo di tristezza sembrava posarsi su di lui e, conoscendo il suo carattere, saltava abbastanza all’occhio. Aveva comunque promesso di non dire nulla riguardo alle novità, e in effetti mantenne la parola. La curiosità si faceva sempre più forte, sapere se perlomeno ci fossero state delle nuove canzoni fu la domanda che gli rivolsi. “Si ce ne sono” rispose. “Dai dimmi quante!” mi uscì dalla bocca, bramoso di sapere, quasi ad auto-tradimento. “Una soltanto” – ribattè facendomi collegare il perchè della sua leggera apatia. Proprio nel mentre era cominciato il soundcheck. Gli strumenti, tranne la voce, erano chiaramente udibili al di fuori dello stadio, dal modo di suonare era chiaramente la band e non i normali tecnici. Qualche riff abbozzato qua e la, pochi secondi di Shot down in flames, Hell ain’t a bad place to be e….”tappati le orecchie!!”, urlò Andrea non appena si accorse che stavano suonando LA canzone mancante. Attraverso i palmi delle mie mani fortunatamente sentii solo chitarre ovattate e incomprensibili, come per la batteria. “Hanno finito” – mi avvisò. C’era mancato poco….
Fine prima parte
Continua
Gabriele