Continua da Arnhem 2015: incontro con Angus, per un soffio
Di Gabriele Staff AC/DC Italia - gabriele@acdc-italia.com
Fatta una bella dormita e passata una giornata tutto sommato tranquilla, accompagnata da pioggia e vento piuttosto sostenuto durati però solo poche ore, verso le 16:30 siamo risaliti sul nostro “bolide” per ritornare al Gelredome, che distava circa una ventina di minuti dall’hotel in cui alloggiavamo. Ovviamente la coda di auto si faceva più persistente man mano che ci si avvicinava e, una volta “scaricati” Andrea ed Edo nelle vicinanze dell’entrata, io e Fabio proseguiamo alla disperata di ricerca di un parcheggio piuttosto vicino, che mi avesse permesso di lasciare rapidamente l’attrezzatura fotografica in macchina una volta terminato il tempo disponibile per gli scatti al concerto. Dopo averlo desiderato da anni, sono finalmente in possesso di un pass photo, che però complica leggermente le cose: finiti 3 pezzi in cui è possibile fotografare il gruppo si viene infatti scortati fuori dal palazzetto, si deposita lo zaino con reflex ed obbiettivi e si deve rientrare con il proprio biglietto dal rispettivo ingresso. Dal momento in cui la nostra macchina si trovava a circa 15 minuti a piedi – unici posti rimasti verso le ore 18 – voleva dire perdere quasi 40 minuti, ossia almeno 7-8 canzoni. Contento comunque di avere un’opportunità del genere, ero disposto a perdermi una bella fetta dello spettacolo pur di immortalare la band con la mia reflex. Non so se sarebbe capitato ancora.
Ci riuniamo nuovamente in prossimità della porta principale, dove io sarei entrato pochi minuti dopo per accedere all’area di ritrovo per i fotografi. Dandoci appuntamento nello stesso punto nel caso ci fossimo persi nel corso dello show, giunge l’ora di entrare. Una volta all’interno l’occhio finisce ovviamente subito sul palco, la prima novità “inedita”, dal momento che al Coachella venne utilizzato lo stage del festival, lo stesso per tutte le band partecipanti. Ad una prima occhiata con luci spente, devo essere sincero, non mi ha trasmesso la stessa “imponenza” di quello realizzato per il Black Ice Tour. Due grossi megaschermi ai lati, delineati da cornici metalliche che percorrevano il contorno anche del semicerchio centrale. Scritta AC/DC in alto, inclinata nel mezzo, solito muro di casse di amplificatori e la Hell’s Bell già appesa al soffitto. Come ho scritto nella recensione dell’album, anche il palco trasmette ad un primo impatto la stessa sensazione di “sbrigativo” e meno curato. Dovrò però ricredermi una volta partito lo spettacolo: le luci dello show sono riuscite a compensare il fatto di non avere né una statua o un treno, con dei giochi di lampi e colori davvero stratosferici, che hanno fatto rimanere a bocca aperta sia me che tutti gli amici presenti. Davvero qualcosa di memorabile. Ad ogni modo, ritornando alla struttura, noto subito che la passerella non è a livello del piano principale, bensì è abbassata di qualche metro, e finisce con la consueta pedana pneumatica. Fanno sistemare 10 fotografi da un lato e 10 dall’altro sia per il set dei Vintage Trouble (una frizzante Rock’n’Roll band americana con un buon sound e un ottimo cantante) che per quello degli AC/DC.
Arrivo quindi subito al momento dell’inizio dello show: si spengono tutte le luci e il prevedibile boato del pubblico dietro di me fa scattare a mille sia i battiti cardiaci, sia l’adrenalina già di per sé alta. Si accendono invece i megaschermi, dai quali viene trasmesso un filmato nello stesso stile di quello utilizzato per lo scorso tour del “Rock’n’Roll Train”: un paio di astronauti atterrati su un pianeta (forse la luna), si imbattono in un cratere infuocato dal quale fuoriesce un masso ardente marchiato AC/DC che, travolgendo i due personaggi, comincia a dirigersi verso la Terra. Nel corso della sua impetuosa corsa nello spazio investe Rosie – il “donnone” – che fa un ammiccante occhiolino, passa a fianco del Rock’n’Roll train che sfreccia a tutta velocità, sfonda la Hell’s Bell per poi sfiorare un satellite che sta trasmettendo “Back in Black”. Il tutto con in sottofondo dei martellanti cori che esclamano “Angus! Angus!”, ingegnosamente introdotti per alzare ancora di più la tensione, insieme alla colonna sonora fatta di rombi tuonanti che crescono man mano che la meteora si avvicina al nostro pianeta. Pochi secondi prima di schiantarsi al suolo la caricatura “diavolesca” di Angus si intravede nella sagoma del masso, ed è qui che le fiamme prendono realmente forma. Una vampata di calore investe le prime file, parte fumo ed una luce accecante scandisce l’inizio delle danze insieme al riff iniziale di “Rock or Bust”, mentre la band compare in contemporanea sul palco.
Scrivendo in modo chiaro e sintetico, devo dire che il gruppo è decisamente sopra le mie personali aspettative, nonché in miglior forma rispetto agli show del Coachella festival. L’attenzione si è focalizzata principalmente sulla “resa” di Brian: ha sfoderato una notevole forma fisica per tutta la durata dello spettacolo. Sempre in movimento, divertito e non affaticato. I chili di troppo del Black Ice Tour sono oramai un lontano ricordo e si vede. Dalla sua energia è’ difficile credere che abbia oramai 70 anni. Su “Hell ain’t a bad place to be” azzarda addirittura un salto che gli costa la perdita del cappello, recuperato in un secondo con leggerissimo imbarazzo, mascherato abilmente nel giro di qualche attimo. Dal lato vocale ho notato con sorpresa che i versi sono cantati con una metrica più “personale”, deducendo che ciò possa facilitargli di più la performance, che comunque – in questo concerto – pur rimanendo intonato per tutto lo show, ha perso un po’ di potenza dalla metà in poi. Nulla di male, siamo già grati di poterli rivedere ancora e si sa, qua su AC/DC Italia ci piace descrivere le cose per filo e per segno.
Strabiliante Angus. Suona egregiamente, si diverte, salta ed esegue frequenti duckwalk. Omette l’abituale strip nel corso dello show e, personalmente, non ne ho sentito la mancanza. Sfoggia un bellissimo completo rosso acceso con tanto di cappello marchiato “A”, che ricorda per un attimo la prima decade live della band. Stevie e Cliff fanno anch’essi un ottimo lavoro, anche se la chitarra ritmica si è allontanata inevitabilmente da quello che era il “suono” inconfondibile di Malcolm Young. Ora è uno strumento di sostegno, di supporto, e non è più parte integrante del sound fondamentale degli AC/DC, come lo era quando imbracciata da Mr. Riffmaker: il nipote suona in maniera leggermente un po’ più sporca, ma comunque ottenendo un più che discreto risultato, anche con i cori di accompagnamento. Il muro sonoro nelle retrovie (nel frattempo sono rientrato e mi sono posizionato in zona quasi centrale, in fondo al parterre con Andrea) è estremamente di impatto e potente. Se poi, come ho accennato più sopra, è affiancato a spettacolari giochi di luce, ci troviamo di fronte a uno Spettacolo con la “s” maiuscola. Insolito e allo stesso tempo emozionante sentire per la prima volta dal vivo (parlo della mia esperienza) “Have a drink on me” e “Sin City”, new entry di questo tour a parte i nuovi singoli stratti da “Rock or Bust”, ossia l’omonima title track e “Play Ball”. Sicuramente da antologia “High Voltage” (versione alla “Donington” lunga, con botta e risposta fra il frizzante Brian ed il pubblico) ed epocale “Let there be rock”, per la quale la pedana si è alzata a livello del palco per permettere ad Angus di raggiungere la piattaforma per il solo a cui siamo abituati già dallo “Stiff Upper Lip Tour”.
Passando al nuovo ri-entrato Chris Slade, la sua prestazione è sicuramente migliore di quella al Coachella festival. Più sicuro di sé, più in forza. Bisogna ammettere che di sbavature da parte sua ce ne sono state, ma perlomeno questa volta ha saputo gestire meglio l’utilizzo del charleston della sua batteria, troppo netto e troppo poco dinamico in certi frangenti dei due show americani del mese scorso. Le “arrancature” talvolta marcate in alcuni pezzi sono quasi totalmente scomparse, sono sicuro dovute al fatto di aver ripreso sempre più confidenza con concerti di tale durata ed impegno fisico non indifferente. Teniamo sempre presente il fatto che anche lui come Brian ha raggiunto i 70 anni.
Concludendo la mia personale analisi sul concerto, posso ritenermi estremamente soddisfatto dello spettacolo a cui ho assistito. Dopo le comunque buone perfomance americane nutrivo un po’ di innocente scetticismo per la resa della prima data, sicuramente annullato man mano che lo show proseguiva. Rimango invece curioso di vedere come la band – soprattutto Brian e Chris – saprà gestire lo stress di date continuative per i caldi mesi estivi che li attendono. Vedremo e sentiremo già a Parigi, fra un paio di settimane, e non mi esprimo su ipotesi affrettate. La cosa che ho apprezzato maggiormente dell’intera trasferta (oltre che rivedere la band live ovviamente), è l’aspetto umano che emerge ogni volta nel raggruppare quella grande Famiglia quale sono i fans degli AC/DC. Incontrare nuovamente gli amici provenienti da ogni parte del mondo, chi dall’Argentina, chi dalla Francia, dal Belgio, dall’Inghilterra, con cui scambiare pareri ed opinioni è stato questa volta emozionante a pari merito con l’assistere al concerto vero e proprio.
Con questo entuasiasmo spero con il resto dello Staff di incontrare i nostri lettori nel corso del tour…l’intero show è solo all’inizio!
Alla prossima!
La scaletta del concerto
- Rock or bust
- Shoot to thrill
- Hell ain’t a bad place to be
- Back in black
- Playball
- Dirty deeds done dirt cheap
- Thunderstruck
- High voltage
- Rock'n'roll train
- Hell’s bells
- Baptism by fire
- You shook me all night long
- Sin city
- Shot down in flames
- Have a drink on me
- TNT
- Whole lotta rosie
- Let there be rock
- Highway to hell
- For those about to rock