di Massimiliano, Staff AC/DC Italia
max@acdc-italia.com
Dopo lunga attesa ed inevitabili polemiche, arriviamo all’attesissima data italiana del PWR UP TOUR, sold out da mesi con 105mila biglietti venduti a tempo di record. Inutile tornare sulla “rattoppata” line up della band, sulle assenze di Malcolm, Cliff Williams e Phil Rudd che pesano come macigni. Ne abbiamo già parlato nei precedenti post. Ci soffermiamo subito sull’altra questione critica, ovvero la location, questa RCF Arena da molti preventivamente descritta come un “campo di patate dove far ammassare gli italiani, mentre all’estero se li vedono in comodi e moderni stadi”. Ebbene, l’ex campovolo è stata una grande rivelazione. Ottima organizzazione, pochi problemi all’ingresso, acustica eccellente e visuale – complice la sua inclinazione - altrettando, almeno dalla “red zone”. Non sappiamo e non possiamo giudicare come sia stato l’afflusso ed il deflusso all’erea concerto per chi è venuto in macchina, essendo stati in zona da qualche giorno e muovendoci solo a piedi. Tutto il resto però, secondo la nostra esperienza, è stato ben coordinato.
Veniamo a quello che più ci interessa: la musica. Dopo la buona prova al debutto in quel di Gelsenkirchen, ci aspettavamo bene o male lo stesso tipo di esibizione e, onestamente, eravamo anche un po' preoccupati che lo show all’aperto mettesse in evidenza certe pecche che la band, non più perfetta come un tempo, ci aveva fatto sentire nelle ultime uscite. La voce restava il grande punto interrogativo e forse, in Germania, il “frastuono”, l’eco generato dall’arena al chiuso era venuto in soccorso al vecchio Brian, camuffando certe lacune che c’erano, ci sono e ci saranno. Gli anni passano, purtroppo.
Se la RCF ARENA è stata una sorpresa, altrettando lo è stata il livello dell’esibizione della band. Sin dall’inizio si è avuta l’impressione di assistere a qualcosa di speciale. If you want blood (eccellente pezzo d’apertura) definisce immediatamente il livello. La voce di Brian pare provenire direttamente da qualche registrazione del Black ice tour e gli altri viaggiano compatti come mai avevamo sentito nel tour precedente. I nuovi arrivati, perfettamente inseriti nel contesto, danno il giusto “tiro” ad una sezione ritmica tristemente sostitutiva ma obbiettivamente perfetta. Matt Laug è il miglior rimpiazzo che Phil Rudd abbia mai avuto e per le due ore del concerto ci dimentichiamo della sua dolorosa assenza. Stevie Young, molto cresciuto dal Power Trip anche per i suoni finalmente azzeccati, festeggia i 10 anni da membro fisso viaggiando sicuro sul solco tracciato dal leggendario zio Malcolm.
Il concerto va avanti e ci accorgiamo subito di alcuni cambiamenti rispetto alla scaletta tedesca. Alla fine saranno 3 i pz omessi (Hell ain’t a bad place to be, Dog eat dog, Givin the dog a bone) Onestamente, troviamo questa scelta azzeccata. Una set list tra le 20 – 21 canzoni appare più idonea per portare avanti un tour che non sappiamo fino a quando dovrà durare. Inoltre, le 11 canzoni dall’era Brian contro le 10 da quella Scott, rendono la set list equilibrata e gratificano i 44 anni di servizio del buon Jonna. Difficile scegliere quali canzoni ci hanno maggiormente colpito, in un senso o nell’altro, ma ci proviamo. La sola Thunderstruck è forse il brano che soffre davvero lo scorrere del tempo e nella troppo lenta parte iniziale stenta a decollare. Le altre canzoni sono state tutte eseguite egregiamente, rapportando ovviamente il tutto al periodo e ben consapevoli che i veri AC/DC erano quelli di qualche anno fa. Da Shoot to thrill a Stiff upper lip (ottimo recupero) si passa ad una bellissima Sin city e sul finale la lunga Let there be rock celebra magistralmente il mito del vero protagonista della giornata che è, al solito, Angus Young. Le sue mani non sono più veloci come un tempo ed i pochi capelli bianchi testimoniano che del giovane scolaretto resta solo l’uniforme. Non abbiamo idea di quanto il suo potere decisionale sia cambiato negli ultimi anni e quanto sia forte l’influenza di figure esterne sul mondo AC/DC. Ma possiamo testimoniare che per quanto visto in questo inizio di tour, resta uno dei più grandi animali da palcoscenico della storia del rock. Inavvicinabile, come lo stesso Brian, per chiunque (non si vedono foto recenti con nessun fan o fan club) Angus pare più sereno, determinato rispetto al periodo di Rock or bust e tutto questo si riflette positivamente sul palco. Anche gli errori, molti rispetto al passato, sono quel qualcosa in più che lo rendono ancora più unico nel suo modo di suonare, rigorosamente live (a differenza di tante band storiche viste recentemente).
Chi non aveva mai assistito ad un loro concerto, certamente lo ha apprezzato e lo porterà per sempre nel cuore. Chi li aveva visti solo a Imola, non potrà negare il netto e sorprendente miglioramento. Resta il sincero rispetto per i fan di vecchia data, quelli che erano alle due storiche date milanesi del 2009, nella curva sud di Torino nel 2001, a Modena nel 1991 o magari a Nettuno nel 1984, di non voler partecipare a questo tour, non volendo intaccare il ricordo della formazione storica, di momenti nei quali gli AC/DC erano piu band e meno brand, come lo sono oggi. Noi non ce l’abbiamo fatta, ne abbiamo già parlato in precedenti interventi. Siamo convinti, alla fine, che salutare Angus e Brian in questo tour sia stata una buona scelta. Dopo Reggio Emilia ne siamo ancora più certi. Ci vediamo a Vienna!
- If You Want Blood (You’ve Got It)
- Back in Black
- Demon Fire
- Shot Down in Flames
- Thunderstruck
- Have a Drink on Me
- Hells Bells
- Shot in the Dark
- Stiff Upper Lip
- Shoot to Thrill
- Sin City
- Rock ‘n’ Roll Train
- Dirty Deeds Done Dirt Cheap
- High Voltage
- Riff Raff
- You Shook Me All Night Long
- Highway to Hell
- Whole Lotta Rosie
- Let There Be Rock
- T.N.T.
- For Those About to Rock (We Salute You