di Gabriele Staff AC/DC Italia - gabriele@acdc-italia.com
Il concerto è terminato da una decina di minuti e, uscendo un paio di canzoni prima del classico inno finale “For those about to rock”, riesco a schiarirmi le idee per buttar giù due righe al computer in macchina, mentre aspetto Marco. Forse per ancora un bel po’ di tempo, prima che le uscite si sblocchino dal fiume di gente che ha letteralmente riempito ed invaso l’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola. Un 9 Luglio storico, oltre che esserlo per il 69esimo compleanno di Bon Scott. A parte il passabile DJ set con qualche speaker che augura a Malcolm un imbarazzante “guarisci e torna presto” (non male per IL “media partner” che a suo tempo aveva diffuso la notizia), ed il patetico “Happy Birthday” lanciato dal palco, degno delle migliori discoteche – avremmo preferito invece qualche gruppo aggiuntivo – l’atmosfera era palpabilmente rovente sin dalle prime ore del pomeriggio, così come la temperatura, l’asfalto e circa il 95% dello spazio destinato allo show esente da ombra. Una location in grado di ospitare 92.000 persone per il concerto dell’anno, così viene annunciato in via ufficiale. Se ci sono sembrate qualcosa in più, non ne avremo mai la conferma.
Caratteristico l’ingresso da Ponte Dante (quello da noi utilizzato) che, lungo una serpentina di transenne disposte sul tragitto verso la porta principale, indirizzava ai gate di entrata in maniera ordinata camminando sullo storico rettilineo della pista, per poi affiancare i paddock prima di arrivare alla collinetta Rivazza sulla destra, purtroppo completamente esposta al sole e con visuale non proprio comoda ed ottimale: il palco era piuttosto lontanuccio. Unico pregio, il “panorama” di persone, luci e corna rosse pulsanti deve essere stato davvero suggestivo e da togliere il fiato. Passato il DJset (termine che poco c’azzecca con un concerto Rock’n’Roll), è il turno degli americani Vintage Trouble. Forse il pubblico è stato un po’ freddo nelle retrovie all’inizio, ma è durato poco: la band di Los Angeles ha saputo comunque scaldare a dovere i presenti, peccato solo per il cantante Ty Taylor non al massimo della forma: nelle altre date a cui abbiamo assistito la sua performance è sempre stata potente sin dai primi secondi dopo l’ingresso sul palco. Pazienza, capita.
Finito il loro set gli AC/DC hanno cominciato leggermente in ritardo rispetto al loro consueto orario di ingresso in scena. Ci domandiamo se sia stato un caso, in Italia. Sono oramai le 21:20 quando le luci si spengono e comincia il filmato introduttivo. Si leva un boato di liberazione che sicuramente ha cancellato a molti fatica ed ore di attesa sotto il sole in pochi secondi. Parecchie persone assistevano per la prima volta ad un concerto degli AC/DC ed abbiamo percepito un’emozione assolutamente palpabile tra gli utenti incontrati in mezzo alla folla. E’ stato curioso anche vedere, a differenza delle altre date europee a cui abbiamo assistito, di come ci fossero tante persone senza una maglia della band. Segno, forse, di come il gruppo sia ulteriomente diventato qualcosa di realmente universale, per tutte le età e forse anche di “moda” per qualcuno. Insomma, siamo convinti che parecchia della gente presente sia andata anche a vedere un concerto di Jovanotti o Vasco di recente senza batter ciglio o ferirsi l’orgoglio, quando poco più una decina di anni fa poteva sembrare una bestemmia. Oramai gli AC/DC sono di tutti, che piaccia o meno. Anche di chi usa il loro nome a gran voce per farsi pubblicità, purtroppo. Le tanti mani alzate dopo la domanda “Chi vedrà per la prima volta la band dal vivo stasera?” posta durante il DJ set ce lo ha fatto capire chiaramente.
Passiamo allo show: non ci sono state novità riguardo la scaletta proposta. La band è sembrata comunque in forma, anche se in alcuni frangenti il caldo si faceva sentire, soprattutto per Brian (performance leggermente al di sotto del concerto di Wembley di qualche giorno prima) mentre Angus, sempre impeccabile, grondava litri di sudore fin dalla prima canzone di apertura “Rock or Bust”. Le pause leggermente più lunghe del solito e le scarse presentazioni dei brani probabilmente sono state un’abile mossa per recuperare un po’ di fiato. Prima di proseguire però, concedetemi solo una piccola riflessione fuori dal contesto “prestazione”: che gusto si ha ad assistere al primo concerto degli AC/DC della propria vita guardandolo attraverso lo schermo del telefonino? Così, per sapere.
Torniamo all’esibizione. Slade decisamente rodato rispetto all’inizio del tour, Steve perfettamente amalgamato da tempo e Cliff sempre perfetto. Inutile dirlo, le canzoni che hanno infiammato la maggior parte dei presenti sono state le hit assolute come la seconda “Shoot to thrill” (introdotta come di consueto con un “Come stai IMOLA, bene?”), “Back in Black”, “Thunderstruck”, “Hells Bells”…delle quali venivano cantati a gran voce tutti i versi, dalla prima all’ultima parola. Per le meno note (si fa per dire), “Sin City”, “Have a drink on me” o anche la recente “Play ball”, invece la giusta partecipazione. Qualche svista di Brian su “High Voltage” e problemi tecnici per Angus sulla conclusiva “For those about to rock”.
C’è da ammettere che dalla nostra posizione l’audio non era un granchè, anche se tale affermazione andrebbe presa con le pinze, visto che eravamo piuttosto decentrati e praticamente di fronte al diffusore-ritardo posizionato a destra, guardando il palco. La voce di Brian andava e veniva, così come il giusto bilanciamento delle chitarre, per quel che possiamo far notare.
Ad ogni modo è palese, osservando per l’ennesima volta il gruppo, che Angus si riconferma il nuovo leader, il responsabile, quello che ha in mano il futuro e le decisioni della band. Niente è più escluso, nemmeno un nuovo album o un prolungamento del tour. A 60 anni suonati è ancora irrefrenabile, una forza della natura a tratti inspiegabile per le quasi due ore di durata dello show. Monumentale l’assolo sulla passerella/piattaforma in “Let there be rock”, probabilmente il migliore a cui abbiamo mai assistito. Una goduria per gli occhi e per l’udito vedere la sua faccia divertita, il continuo aizzare il pubblico portandosi la mano all’orecchio, e nel frattempo sentirlo lasciarsi andare in una miriade di note sul manico della sua GibsonSG nera. Altro dettaglio: su High Voltage (con tanto di consueto incitamento di Brian al pubblico per urlare “Malcolm Young” durante l’intermezzo alla “Live at Donington” – chi ci ha fatto caso?) nuovamente sfoggiata la SG sfumata arancione, come già successo diverse volte in questo tour. Da Highway to hell invece imbracciata la mitica “custom” nera con battipenna bianco di “Let there be rock: the movie”.
Qualche parola in più andrebbe spesa per parlare dell’organizzazione dell’intero evento. Parto con il dire che la cosa non deve essere comunque stata a priori una passeggiata, per il promoter: non oso immaginare la miriade di variabili da considerare per mettere in piedi un evento del genere, che tutto sommato si è svolto in maniera positiva nell’arco della giornata. Peccato solo per le enormi difficoltà incontrate dalla gente nell’uscire una volta terminato lo spettacolo, che hanno lasciato davvero l’amaro in bocca ad una quantità non indifferente di persone. A neanche 24 ore dal termine le lamentele sui vari social network erano già parecchie, cosi come le descrizioni di vari episodi spiacevoli ed antipatici che, se evitati, avrebbero reso questo “AC/DC Day” davvero memorabile in tutto e per tutto, come sarebbe dovuto essere. Per noi non ci sono scuse: non è normale che da un concerto si torni a casa alle 8 di mattina, quando invece a quell’ora ci si sarebbe dovuti svegliare dopo un sonno di diverse ore per andare al lavoro.
Questione sicurezza: personalmente ho abbandonato lo spiazzo dedicato al concerto al termine di Let there be rock e, essendo rimasto nella stessa posizione per tutta la durata dello show, non mi ero reso ancora conto di quanta gente fosse realmente presente anche nelle retrovie, e della notevole difficoltà per fare anche 20 metri verso l’uscita (molti parlavano invece di un pit con ancora tanto spazio disponibile). Un’uscita che non riuscivo neanche a distinguere, mentre immaginavo cosa sarebbe potuto succedere in caso di episodi che avrebbero potuto scatenare il panico fra i presenti, oppure nell’eventualità di un malessere improvviso di qualcuno lì in mezzo. E così sono sicuro han ragionato molti dei presenti con un minimo di buon senso – gli altri si rileggano cosa successe al concerto di Salt Lake City, nel 1991. Mi spiacerebbe pensare che solo i soldi siano stati il principale motivo per mettere in piedi un evento del genere, e confido nella reale intenzione degli organizzatori di aver voluto dare più possibilità per far ammirare gli AC/DC dal vivo a chi ancora non ci era riuscito prima.
In 3 abbiamo circa 100 concerti della band sulle spalle ed abbiamo vissuto qualsiasi contesto per un loro show, per cui di esperienza, senza peccare di vanto, possiamo dire di averne almeno un po’. E mai un deflusso così caotico e biblico si è mai verificato. Nè in Inghilterra, nè in Argentina, nè in Giappone. Non si sono mai visti così tanti bagarini. Non si sono mai visti cosi tanti venditori ambulanti di bibite e birra ad intralciare le uscite (parliamo anche dei panini “regolari” venduti a 7 euro?). Siamo sempre usciti dalle varie location in poco più di un’ora – traffico compreso – in modo perfettamente organizzato, civile e non caotico. Ora, che il problema si sia chiamato polizia locale, segnaletica stradale, scelta della piccola città di Imola rispetto al quantitativo di gente presente non è identificabile in maniera chiara ed immediata. O forse era semplicemente responsabilità del promoter assicurarsi che tutto sarebbe dovuto funzionare a dovere e prevedere tutti questi inconvenienti? Tali riflessioni non ci discostano dalla personale conclusione che l’Autodromo di Imola sia stata la peggior venue di sempre per un concerto degli AC/DC.
In sintesi a tutto ciò, il mio modesto/nostro parere è quindi quello di preferire sicuramente uno stadio o una città/struttura meglio gestibile per eventi del genere, anche se ciò va a discapito del numero di numeri di ingressi possibili. Al giorno d’oggi organizzare una trasferta all’estero non implica costi troppo più alti che farne una in Italia, ovviamente per chi deve affrontare in ogni caso distanze non indifferenti e può programmarla con un certo anticipo.
Infine, non giustifichiamo assolutamente qualche commento letto fra le centinaia nella nostra pagina su Facebook, che sosteneva tutto questo disguido qualcosa da accettare “perchè Rock’n’Roll”. “Rock’n’Roll” si chiama anche il rispetto per chi spende fino a 94 euro, se non di più per vie traverse, per assistere al più bel concerto della propria vita. “Rock’n’Roll” si chiama il diritto di aver garantiti sicurezza, soccorso e disponibilità e cortesia dello staff fino alla fine dello spettacolo. “Rock’n’Roll” è andare all’estero facendo sacrifici anche solo una volta, vedere un loro show e comprendere come in Italia le cose si ostinino ad essere sempre “diverse”, spesso in negativo. “Rock’n’Roll” è comunque anche l’amore che, per fortuna, abbiamo comunque dato agli AC/DC in un giorno che entrerà per sempre nella storia musicale del nostro paese. E’ l’unica cosa che riusciremo ancora a garantire la prossima volta? Speriamo tanto di no.
La scaletta del concerto:
- Rock or Bust
- Shoot to Thrill
- Hell Ain’t a Bad Place to Be
- Back in Black
- Play Ball
- Dirty Deeds Done Dirt Cheap
- Thunderstruck
- High Voltage
- Rock ‘n’ Roll Train
- Hells Bells
- Baptism By Fire
- You Shook Me All Night Long
- Sin City
- Shot Down in Flames
- Have a Drink on Me
- TNT
- Whole Lotta Rosie
- Let There Be rock
- Highway to Hell
- For Those About to Rock