di Marco Staff AC/DC Italia – marco@acdc-italia.com
Un concerto degli AC/DC è sempre un evento speciale. Se poi pensiamo che la locazione del concerto è stato il mitico Hammersmith Odeon di Londra e che la prevendita del concerto, possibile solo via internet, è stata da Guinness dei Primati (4.000 biglietti venduti in soli 4 minuti!), il concerto aveva tutti i presupposti per essere addirittura un evento Leggendario! L’Hammersmith Odeon, ribattezzato Carling Apollo (dove la band ha suonato parecchie volte dal 1976 al 1982) per festeggiare la riapertura hanno invitato “La più Grande Rock Band di tutti i tempi”, come diceva l’Organizzazione, (ed io non posso che essere d’accordo al 100%!). Il Carling Apollo è stato ristrutturato e migliorato dal punto di vista della capacità visto che con la rimozione delle sedie, si è passati dai precedenti 2.300 posti a più di 4.000, diventando di fatto la più grande venue per concerti live di Londra.
L’appuntamento era fissato per le 10 di mattina di Martedì 21 Ottobre 2003, per il ritiro dei biglietti e dei bracciali di riconoscimento per il concerto (Nero per i posti in piedi e rosso per i posti a sedere). Io arrivai alle 10:30 e c’era già una fila di qualche centinaio di persone. Attesi quasi due ore prima di riuscire ad entrare, ma nonostante la fredda mattinata londinese, l’attesa passò abbastanza in fretta, grazie al grande entusiasmo che mi accompagnava ed alla conoscenza del simpatico Berry (del Forum di AC/DC ITALIA) ed il suo amico, venuti apposta da Gorizia. Inoltre ho conosciuto il mio amico Norvegese (che ho incontrato per la prima volta dopo 2 anni di scambio email), il quale ha avuto la fortuna di vedere il giorno prima il soundcheck insieme ad altri 30 fortunati fans, 20 dei quali vincitori del concorso indetto dalla Carling. Mi ha detto che hanno proposto 7 canzoni tra cui “If you Want Blood”, “Gone Shootin’” e “What Next To The Moon”, praticamente un mini-concerto. Angus indossava i Jeans! (in futuro vi proporremo qualche foto).
Mi accorsi subito che c’era gente che proveniva da ogni parte d’Europa apposta per l’Evento: Tedeschi, Francesi, Spagnoli, Scandinavi, Italiani ed ovviamente Inglesi. Il pubblico era molto vario e colorito, c’erano dai ventenni ai cinquantenni, dai manager in giacca e cravatta a quelli con il giubbotto di pelle e 1000 toppe degli AC/DC.Per ricevere i biglietti bisognava mostrare l’email di conferma spedito dalla Carling ed un documento di riconoscenza. Mi diedero 2 bracciali rossi, cioè posti in piedi… non restava che attendere.Dopo un giro in centro a Londra, tornai al Carling Apollo intorno alle 18:00, c’erano gia alcune centinaia di persone tutte tranquillamente in fila, senza fare i furbi rispettando i posti (incredibile per noi Italiani!). Alle 19 in punto si aprono le porte ed uno alla volta veniamo controllati dalla security che per nostra fortuna permettono l’accesso a macchine fotografiche.
Il Carling Apollo è un teatro ben ristrutturato con un ampio spazio per il pubblico in piedi ed un galleria con parecchi posti a sedere (che ricorda i vecchi cinema) dove addirittura ci sono per ogni posto i binocoli per vedere meglio (solo per 50 cents). Alle 19:30 salgono sul palco per circa 30 minuti gli “Hundred Reasons”.Incredibilmente fino a circa 15 minuti dall’inizio del concerto il teatro è semivuoto anche perché la maggior parte degli spettatori sono a far rifornimento ai 3 bar all’interno. L’attesa è febbrile, il pubblico comincia a scaldarsi acclamando a gran voce “Angus…Angus…Angus”, sono le 20:30 e non ci stò più nella pelle…ma devo attendere ancora 5 interminabili minuti…adesso il Carling Apollo è pieno all’inverosimile…le luci si spengono all’improvviso ed i nostri eroi salgono sul palco accolti da un boato attaccando subito “Hell Ain’t A Bad Place To Be”, Angus, in completo nero, fa il solito gesto con le corna, il volume è altissimo. Brian Johnson saluta subito il pubblico dicendo “E’ bello tornare a casa”. La seconda canzone è “Back In Black”, ed è già il delirio!! Brian stecca e si perde al primo ritornello…la band continua a suonare fino al chorus “Well I’m back in black, yes I’m back in black” Brian prima fa finta di niente e poi va verso il pubblico che canta in coro quasi per far credere che l’ ha fatto a posta per far cantare i fans. (Divertentissimo!)
Brian alla file di “Back in Black” scherzosamente dice “Facciamo che quanto faccio qualche cazzata, ci pensate voi a cantare, ok?” e poi, “la prossima canzone e tratta dall’ultimo album e si chiama Stiff Upper Lip” ed Angus parte subito con il riff, ovviamente sparata molto più veloce rispetto alla versione in studio…
Si continua con un altro classico “Dirty Deeds Done Dirt Cheap” ed Angus continua imperterrito ad annichilire il pubblico con le sue movenze, Brian spesso lo affianca e continua ad incitare il pubblico.Dopo un brevissimo assolo, Angus scarica il riff inconfondibile di “Thundestruck” che anche i sassi conoscono, il pubblico batte le mani e salta a ritmo. Arriva uno dei momenti clou della serata…”Rock N’ Roll Damnation”! Bellissima canzone che purtroppo risulterà l’unico estratto dallo stupendo “Powerage” (il mio album preferito). I magnifici 5 ci danno dentro di brutto e la propongono in maniera egregia. Poi “Hard As A Rock” e “The Jack” dove Brian scappa dietro al palco per qualche minuto, ma nessun problema ci pensa l’onni-presente Angus ad intrattenere il pubblico con il suo mitico spogliarello mentre tutto il coro di viene eseguito dal pubblico.
Le luci si spengono, scende la famosa campana e tutti sanno che è il momento di “Hells Bells”, infatti partono i rintocchi… Brian sembra che aspetti il momento di aggrapparsi alla corda penzolante ma la campana si ferma troppo in alto (che balle sti tecnici…) .Non importa, parte il riff ed i brividi mi accompagnano per tutta la canzone. Brian in grande spolvero! Vicino a me ci sono un ragazzo sui 18-20 che sorride compiaciuto per tutto il concerto, e con lui c’è il padre (almeno credo) che sarà sulla cinquantina ed è spassosissimo, applaude, muove la testa e canta ogni singolo testo, specialmente dei pezzi più datati. Ce n’erano molte di persone così all’Hammersmith quella sera, magari alcuni di loro addirittura si trovavano lì vent’anni prima. Immagino l’emozione che abbiano potuto provare quella sera, hanno visto il mondo cambiare ma gli AC/DC sono ancora quelli di sempre, intenti a regalarci un’altra serata da ricordare per lungo tempo! Ora arriva il momento topico della serata, “If You Want Blood” dall’Highway To Hell album, suonata con un energia e un coinvolgimento incredibile, il pubblico salta, applaude, non sta più nella pelle. Già la versione in studio era ottima, ma quella proposta all’Hammersmith è stata una cosa micidiale! (Dopo il concerto ho conosciuto un tipo che li ha visti in tutti e 3 i concerti con gli Stones a Giugno ed anche lui mi ha confessato che If you want blood non era mai stata eseguita così bene!) “Whole Lotta Rosie” viene sparata alla velocità della luce, il pubblico canta ogni singola parola del testo, anche questo uno dei momenti più esaltanti del concerto. Non ricordo una versione così veloce da anni! Durante “Let There Be Rock” (immensa!) Angus va dietro il palco sopra alla batteria per fare il suo grandioso assolo.
Alla fine Brian dice il solito “See ya, good night”… ma nessuno ci crede. Hanno suonato 90 minuti di fila. Passano 2 minuti ed i nostri eroi ritornano sul palco… “Highway To Hell” è l’apoteosi! Tutti si aspettano qualche chicca, invece parte il riff di “For Those About To Rock” ed appaiono 2 cannoni sopra ai marshall. L’ennesima canzone suonata da Dio… che però purtroppo segna la fine del concerto… “We Salute you Hammersmith” grida Brian. Il pubblico in delirio tributa il giusto saluto ai leggendari AC/DC e continua ad applaudire e richiamare il gruppo sul palco, ma è davvero l’ultima canzone. Alla fine, nonostante uno splendido concerto, sono rimasto leggermente deluso di non aver sentito canzoni come “Gone Shootin’” (che aspettavo da tanto), “What Next To The Moon” o “Rn’R Ain’t Noise Pollution”. Solo il giorno dopo ho saputo che fino all’ultimo il concerto era in forse perché Brian era malato ed il giorno prima era andato in ospedale. Nonostante il parere contrario del medico, Brian hanno deciso di cantare… è l’ha fatto in modo grintoso e strascinante come solo lui sa fare! Tutto ciò mi ha permesso di apprezzare ancora di più (…anche se non ce n’era bisogno) la grandezza degli AC/DC.
E’ stato qualcosa di incredibile vedere una band come gli AC/DC darci dentro come matti, non risparmiarsi nemmeno un istante, e soprattutto calarsi in una realtà come quella di suonare in un teatro da soli 4.000 posti facendolo in modo naturale, nonostante siano abituati a stare davanti ad un pubblico anche 100 volte superiore. Questo si chiama professionalità ed amore per il Rock!
What A Great Fuckin’ Day For Rock N’ Roll!
La scaletta delle due serate:
- Hell Ain’t A Bad Place To Be
- Back in Black
- Stiff Upper Lip
- Dirty Deeds Done Dirt Cheap
- Thunderstruck
- Rock N Roll Damnation
- Hard As A Rock
- The Jack
- Hell Bells
- If You Want Blood
- You Shook Me All Night Long
- TNT
- Whole Lotta Rosie
- Let There Be Rock
- Highway to Hell
- For Those About To Rock
Recensione e foto di "Berry", presente al concerto
Un tuffo nella storia di quello che fu il leggendario London Hammersmith di Londra.Ma anzitutto un ritrovo di fan provenienti da tutto il continente, pubblico eterogeneo come non mai, entusiasmato all’idea di poter gustare gli AC/DC in una versione diversa da quella di “band da stadio” che tutti conosciamo .Si sappia che ogni concerto è storia a sé e si consideri che ogni fan attraversa la sua “autostrada per l’inferno” nel raggiungere gli AC/DC dovunque si esibiscano. Si tenga presente che un viaggio è prima di tutto fuga da se stessi, ma nel caso degli AC/DC è un ritrovarsi in quel suono caldo che avvolge i loro concerti.
Non sono neanche le 9 AM che già un bel po’ di gente fa con pazienza la fila di fronte all’entrata del Carling. Il freddo è notevole, la determinazione dei presenti pure. Ci si scambia qualche sorriso, si osservano gli altri, alcuni approfittano per incontrarsi con degli amici, altri leggono un libro. Tre tedeschi danno spettacolo esibendo i loro giubbotti in jeans letteralmente foderati di toppe dei Seedies, altro tuffo nella storia, altre emozioni passate itineranti. Leggermente prima dell’apertura, uno degli organizzatori – che azzarderei essere il vero e proprio promotore dell’iniziativa-, scatta con un piglio tutto inglese delle foto a noi “temerari del freddo mattutino”, certo non riscuotendo una grossa audience, né captando più di tanto l’attenzione dei fan. Nel frattempo va detto che i pochi fortunati vincitori dei 20 biglietti che davano diritto ad assistere al sound check dei Mitici, più una decina di altrettanto fortunati e caparbi che per primi, erano accorsi a far la fila per riscuotere i biglietti del concerto, sono stati chiamati all’interno del teatro proprio per vedere una mini esibizione dei cinque ragazzacci, che hanno eseguito nientepopodimeno che “Gone shootin”, “If you want blood” e “T.N.T.”, quest’ultima con tanto di coro del piccolo pubblico.
Fuori dal Carling la fila cresce esponenzialmente di minuto in minuto e la folla si colora di sfumature sempre più variegate, mentre il sole inizia gradatamente a riscaldarci. Sono talvolta stranite le facce di molti, vuoi per lo stress del viaggio, vuoi per i postumi della sbornia della serata prima. L’atmosfera non è ancora quella festosa di un concerto dei Seedies, anche se le insegne luminose che riportano la data dell’evento ed il logo della band, nonché l’enorme foto dell’Angus di Donington che campeggia sopra il teatro, non possono che definirsi suggestive. Verso le 11 e 30 AM io e il mio amico Mauro riusciamo ad entrare, consegnamo la stampa dell’email e il passaporto, paghiamo la miseria di dieci sterline, assistiamo ai gioviali sorrisi della bella e giovane banconiera, come dei bambini ci facciamo legare al polso da altre due ragazze gli anelli di riconoscimento che ci permetteranno di entrare in platea, ringraziamo Dio e la buona organizzazione del Carling e prendiamo la via verso l’albergo per tentare di riposarci.
Intorno alle 5 PM siamo nuovamente nel quartiere di Hammersmith, ormai popolato da miriadi di fan dei Nostri: fast food, birrerie e strade pullulano di magliette degli AC/DC, metallari e rockettari della vecchia guardia, gente che a guardarla ti pare che abbia vissuto i ’70, gli ’80 e i ’90 tutto d’un fiato sotto l’unica bandiera di questi bonaccioni di origine proletaria.Le biglietterie sono ancora aperte e la fila si estende per centinaia di metri. Chi ha già acquistato il biglietto, può attendere dietro lo stabile l’apertura delle porte, che è prevista per le 7 PM.
Ora certa gente parla, si formano gruppetti di persone che scambiano opinioni, altri continuano a tacere o mugugnano qualcosa od altri ancora festeggiano e rilasciano dichiarazioni enfatiche a delle giornaliste della TV. Mancano i tradizionali chioschi per ristoro e vendita della magliette e soltanto un gruppo di persone ne vende una tipologia con su scritto davanti <> e dietro <>: sono molto semplici e spoglie, ma rendono l’idea della portata dell’evento e permetteranno a noi fan di conservare un ulteriore ricordo della serata. Prima della tanto agognata apertura dell’Apollo, incontro di nuovo –dopo che ci eravamo già visti la mattina- Marco ACDC Rocks e sua moglie, che mi affidano l’arduo compito di lanciare la maglietta di AC/DC Italia a Brian, dato che il biglietto mi permette di accedere alla platea, mentre loro devono vedere lo spettacolo dall’alto.
Scoccano le 7 PM e finalmente è possibile entrare. Io e Mauro siamo fra i primi e prendiamo immediatamente posto in prima fila (!).L’attesa si fa snervante ed il gruppo di supporto Hundred Reasons suona senza infamia e senza lode: l’impressione che ricavo dalla loro esibizione è che sono una delle tante band del panorama new metal odierno. Sono energici ed hanno un sound compatto ma niente di più.Poco dopo il loro congedo, i tecnici del suono iniziano a mettersi al lavoro e il solo test delle chitarre di Angus e Malcolm provoca un brivido (oltre che un boato di approvazione) a tutti i presenti. Molti stanno ancora prendendo posto e mancano pochissimi minuti alle 9 PM.
Che sensazione eterea quando si abbassano le luci! E che gioia quando entra in scena Angus! Come da pronostico la prima canzone è Hell ain’t a bad place to be, con i rintocchi della batteria di Phil ad inaugurare le danze! Le chitarre sono stratosferiche, il ritmo vertiginoso ed Angus grintoso e in gran forma. Brian indossa una canottiera viola, la stessa che aveva messo in quel di Hockenheim.Il palco è piccolo e proprio Brian ed Angus non faticano ad “abitarlo”, scorazzando da una parte all’altra dello stage con noi fan in visibilio. E’ impressionante l’intesa fra di loro e mi godo “gesti, passi e moine” che si scambiano. Di tanto in tanto Brian viene a darci il 5, ed in un’occasione la sua mano raggiunge anche la mia. Mi è chiaro già da subito che su di loro l’invecchiamento poco ha potuto…
Finita la prima canzone, come di consueto Brian ne introduce la seconda fra il serio e il faceto, dicendo al pubblico anglosassone che “è bello tornare a casa” e dispensando tonnellate di carisma. Tutti sappiamo che partirà l’attacco di Back in Black e così è: siamo fulminati! La band gira, ma sembrano esserci dei problemi tecnici per la voce di Brian, che da qui in poi sarà per tutto il concerto abbastanza innervosito. Di tanto in tanto Joannie beve delle pozioni (non so se della spremuta o degli integratori) e ancora convalescente com’è, ce la mette veramente tutta per cantare ed intrattenere il pubblico.
In divisa nera, Angus è scatenato.Dopo Back in Black parte una veloce Stiff Upper Lip, molto apprezzata ed ormai rodata alla perfezione.La quarta canzone è Dirty Deeds Done Dirt Cheap, accattivante e supportata da un pubblico strepitoso, al quale spesso Brian porge il microfono, suppongo anche come palliativo ai già menzionati problemi tecnici.
Thunderstruck è il solito tripudio, con Malcolm e Cliff a “farsi sentire al microfono” ed Angus a sbizzarrirsi nei consueti assolo.Ma uno dei momenti clou avviene con Rock’n’roll Damnation, prima canzone della miniera d’oro di Powerage. Sembra di essere al più festoso dei party, le chitarre sono graffianti ed il ritmo forsennato. C’è lo spirito di Bon che aleggia in quella canzone, lo spirito di un rocker. Sensazionale!
E dopo la dannazione del rock’n’roll arriva Hard as a rock, amatissima ed accolta con trasporto da tutti noi. “Harder than a rock” dice Angus, ed anche noi ci sentiamo veramente massicci. Mentre Brian presenta The Jack, parte un coro in favore di Angus; il rumore è così assordante che per un attimo il frontman si interrompe e sghignazza assieme al chitarrista. A metà della canzone che più rende il pubblico partecipe e quindi componente attiva dello spettacolo, parte fra fischi e cori lo spogliarello di Angus, che dopo averci istigato cala le brache e sfoggia i boxer con la bandiera del Regno Unito. L’atmosfera è favolosa, il divertimento massimo. Mentre sta scendendo la campana di Hells Bells e Brian si prepara per arrampicarcisi, partono in anticipo i rintocchi: Joannie s’arrabbia e non se ne fa niente; è per lui già ora di cantare. E come canta bene questo insostituibile cavallo di battaglia!
Ma ecco profilarsi all’orizzonte un’altra perla del repertorio dei Seedies: la ritmica di Malcolm fa partire un’indiavolata If you want blood, indubbiamente il pezzo più entusiasmante e “pestato” del concerto. Giustamente Marco ha sottolineato il suono devastante di questa If you want blood, che da sola valeva le fatiche del viaggio a Londra.<> dice un Brian sornione, dando un’occhiata al foglio con la scaletta. Sta alludendo a You Shook Me All Night Long, che ci avvolge nella sua tenera e depravata magia di “dirty song”. Ma non c’è nemmeno tempo per adagiarsi sulle scopate romantiche del celeberrimo hit, che la tosta T.N.T. ci mette tutti in riga: Angus al microfono grida come un ossesso e il gruppo pigia a dovere sull’acceleratore.T.N.T. è finita? Abbiamo per voi una Whole Lotta Rosie al fulmicotone… è un altro momento clou, in cui il gruppo da nuovamente il meglio di sé, specie nei fraseggi fra le chitarre di Angus e Mal.
Siamo quasi in chiusura e Let There Be Rock ne è il chiaro sentore. Quasi superfluo dire che Angus continua a prodursi nei celebri assolo di questo inno del rock e si dimostra in continuo miglioramento; la band sta davvero bene e Phil svolge egregiamente il suo compito. A metà canzone Angus sale dietro il palco e fa dialogare la Gibson col pubblico, eccitandoci alla maniera del suo padre putativo Chuck Berry. Una volta sceso dalla piattaforma si tuffa a terra per poi contorcersi come un moribondo, portando i 5000 del Carling verso l’esaltazione. Mr. Johnson saluta ed assieme agli altri se ne va dietro le quinte, ma tutti sanno che no, non è ancora finita! Highway To Hell è infatti dietro l’angolo e quando il diavolo spunta fuori coi suoi cornetti, l’ennesima emozione è assicurata.
Il preludio alla fine è ineluttabile quando inizia For Those About To Rock, spettacolare e supportata dalle ripetute esplosioni di quattro cannoni. Di tanto in tanto volgo lo sguardo a qualcuno dei presenti: ci colgo soddisfazione e sincero affetto per i Seedies; un tedesco quasi piange dalla contentezza, un uomo sulla cinquantina si tracanna il suo superalcolico appagato, ed un ragazzino olandese che non li aveva mai visti da l’impressione che il battesimo è andato a buon fine.
Mentre le deflagrazioni di For Those About To Rock ci sommergono (il che poteva avvenire nel senso letterale del termine, dato che un altro pasticcio dei tecnici è che alcuni artifici sono implosi all’interno del cannone invece di esplodere, causando per fortuna soltanto un surplus di fumo), parti di vita mi scorrono davanti e mi rammarico di non poter fare del concerto un “possesso permanente” della mia memoria. Mi rammarico insomma di non poter raccontare a voi né tanto meno a me stesso cosa sia la grandezza degli AC/DC, la più grande band che io abbia mai conosciuto in vita. Lancio la maglietta di AC/DC Italia a Brian ed anche se non l’afferra, considero il concerto di Londra una gloriosa vittoria.
“Ma è sempre così: ciò che in un momento sperimentiamo indivisibilmente e senza problemi diventa incomprensibile e confuso appena tentiamo di avvicinarlo con catene di pensieri e farne un possesso permanente. E quel che sembra grande e remoto finchè le nostre parole cercano di afferrarlo da lontano, diventa semplice e perde ogni qualità inquietante appena entra nella sfera delle nostre attività quotidiane” - Robert Musil