Avrebbe dovuto gareggiare nel 2013 ma poi non se ne è fatto più nulla. Nei primi mesi di quest’anno (2014) però, la conferma definitiva della partecipazione di Brian Johnson alla celebre “Mille Miglia”, corsa automobilistica che vede coinvolte auto prodotte entro il 1957 (l’ultimo anno in cui si disputò la versione “originale” della competizione) lungo un percorso (con alcune varianti), di circa 1600 km tra andata e ritorno, che percorre strade aperte al traffico da Brescia a Roma. E’ infatti nota a tutti i fans della band la passione del cantante verso i motori: a bordo di una Jaguar C-Type del 1954 biposto, in compagnia di Mark Dixon (un businessman inglese), è partito da Viale Venezia verso le sei del pomeriggio di Giovedi 15 Maggio 2014 per poi tornare, sempre a Brescia, nella tarda mattinata di Domenica 18. Siamo convinti che per Brian sia stato un vero e proprio sogno realizzato. Lo dimostra la contentezza trasmessa in ogni intervista, in ogni fotografia scattata dai numerosissimi fan che lo attendevano ad ogni tappa della corsa e che ci hanno spedito le immagini che potete vedere in questo speciale.
Grazie alla tracciabilità GPS dell’autovettura n° 261 (questo il numero assegnatogli) era infatti possibile vedere in tempo quasi reale il suo posizionamento lungo la mappa del percorso, nonché lo status della macchina, in movimento o in stop. E’ stato proprio la persistenza di quest’ultimo a sollevare qualche preoccupazione in alcuni frangenti della gara: voci (poi confermate) di un Brian che sembra essersi sentito male, oltre ad imprevisti tecnici alla sua vettura. E’ stato lo stesso cantante a dirci (in italiano!) che a causa della foratura dei pneumatici è arrivato “Quattro…ore…dopo” a Roma, in quel di Castel Sant’Angelo, luogo in cui fino alla una di notte l’avevano atteso invano gli spettatori accorsi da ogni parte della capitale per una foto, autografo o semplice stretta di mano. Il mattino dopo sarebbe però ripartito più comodamente su un treno Freccia Rossa in direzione Bologna per un lieve malore, saltando diverse tappe e lasciando parecchi fans a bocca asciutta, che lo attendevano ansiosi nelle tappe intermedie.
L'incontro con Brian Johnson
di Gabriele Staff AC/DC Italia - gabriele@acdc-italia.com
Domenica mattina, come già detto, il ritorno a Brescia. Grazie al prezioso aiuto della nostra amica Sara e di alcuni suoi conoscenti residenti in città, riusciamo a parcheggiare poco distante da un punto estremamente strategico di Viale Venezia: precisamente allo stop delle auto prima di procedere a scaglioni per l’arrivo “ufficiale”, qualche centinaio di metri più avanti, transennato e con una marea di gente, come era normale aspettarsi. Sono circa le 11:40, esattamente l’orario di arrivo previsto delle prime vetture secondo l’itinerario riportato sul sito ufficiale della manifestazione. Reflex al collo, bandiera di AC/DC Italia in mano: tutto pronto insomma per avvicinarsi rapidamente a Brian non appena avremmo notato la sua Jaguar apparire dalla curva in fondo alla via. Passano 10-15 minuti, arrivano diverse vetture, tranne la sua. Mi viene in mente di dare un occhio al “live tracking” della macchina, di cui vi abbiamo spiegato più sopra: la numero 261 risulta FERMA, più avanti. “Impossibile!” esclamiamo. Non è ancora passata. E’ in quel momento che Sara riceve una chiamata sul cellulare: è la sua amica Sabrina che ha appena saputo da suo padre che Brian è in diretta tv, intervistato sul palco della manifestazione. Decidiamo istantaneamente di precipitarci più avanti, in una corsa forsennata, per sperare di incrociarlo. Sentiamo qualcuno che di sfuggita, mentre gli sfrecciamo in fianco, ci dice che “se cerchiamo quello degli AC/DC è già andato via da un pò”. Sguardi oltre le transenne per vedere la fatidica macchina, niente. Percorriamo altri 300 metri arrivando quasi al semaforo che delimita la fine dell’arrivo, accaldati e con il fiatone. Finalmente, eccola alla nostra destra. Ci sono parecchie persone in divisa “Jaguar” intorno, i nostri sguardi cercano Brian, che però non si trova. Così superiamo le barriere per portarci più vicini. Chiediamo a qualcuno del team se è già andato via. Rispondono di si, che si è trasferito in hotel da qualche tempo. Ha proprio fregato tutti: è’ arrivato fra i primi e noi l’abbiamo mancato per una manciata di minuti. Accidenti.
Ovviamente un po’ di delusione prende il sopravvento, io mi consolo scattando qualche fotografia ravvicinata alla sua vettura. Vedo una lattina di RedBull nella portiera, stracci e altri oggetti in un abitacolo davvero spartano. Una bella sfida guidarci all’interno per tutti quei km, soprattutto senza tettuccio…e a 66 anni di età. Come consolazione, chiediamo ai tecnici presenti il permesso di appoggiare la nostra bandiera di “rappresentanza” sul cofano della macchina. Meglio che niente. Almeno una bella foto ricordo…per il momento. Nel frattempo Sara è però riuscita a farsi dire il nome dell’Hotel nel quale alloggia il cantante. Dobbiamo tornare alla nostra macchina e fare un breve percorso, non è così lontano. In città è conosciuto. Arrivati, la “soffiata” si dimostra effettivamente corretta. Anche lì notiamo tante magliette marchiate “Jaguar”, cosi come le vetture di lusso che sono parcheggiate sia all’interno che all’esterno della struttura. Dopo qualche minuto di attesa, decidiamo di chiedere alla reception (eravamo gli unici fan presenti) se il cantante fosse già arrivato: “Si ragazzi, ma ha già lasciato l’albergo e la sua camera definitivamente” – Acida lei e acido lui, è evidente che ci stiano dicendo una cazzata, suggerendoci pure di andarlo a cercare facendo il nome di un ristorante inesistente, decisamente fuori zona. Senza perderci d’animo, dopo aver comunque ringraziato usciamo e chiediamo nuovamente ad un tecnico del team, questa volta mostrandogli qualche foto con Brian fatta negli anni passati. “Tranquilli, è uscito ma rienterà nel pomeriggio, aspettatelo pure”. Sorridiamo.
Dopo un toast e una birra in un bar nei dintorni passeranno quasi due ore e diversi “falsi allarmi” (Jaguar che entrano al parcheggio con i vetri oscurati, facendo scendere i passeggeri fino all’ultimo non riconoscibili). Nel frattempo però alcuni nostri amici devono lasciarci, hanno un appuntamento e non possono restare oltre. Rimaniamo in due per circa una mezzora prima di accorgerci che dal coupè bianco appena fermatosi scende proprio “lui”. Cappellino con visiera, occhiali da sole. Dopo qualche attimo di stupore e un’improvvisa carica di adrenalina ci avviciniamo nella maniera più discreta possibile all’ingresso dell’hotel, siamo insieme ad altre 5-6 persone, probabilmente amici o collaboratori della squadra. Una signora, da quel che capiamo, gli sta spiegando che passeranno a prenderlo l’indomani alle 7 per andare a Milano Malpensa, dove alle 9 partirà l’aereo per Francoforte e quindi quello per Vancouver, dove la band lo sta aspettando per continuare le registrazioni dell’album.
Pochi attimi dopo qualcuno gli chiede una foto mentre Brenda, sua moglie, si accorge di me e guardandomi in viso accenna un “I remember you!”. Subito a ruota Brian, che con il suo tipico accento la segue con un “Hello me son”. Gli sorrido contraccambiando il saluto: “Hey mate, how are you?”, accompagnato da una stretta di mano e pacca sulla spalla. Si portano più vicini, ed è a quel punto che cercando di essere il più rapidi ed organizzati possibili partiamo con le fotografie di rito: sarà davvero stanco e non vogliamo disturbarlo più di tanto. Probabilmente non vedrà l’ora di stendersi un attimo. Insomma, le foto qui sotto parlano da sole: un Brian sorridente, che tra una foto con la bandiera e l’altra ci spiega dei vari problemi avuti lungo il percorso: gli accenniamo che suoi parenti l’hanno atteso invano a Roma la notte precedente e desideravano salutarlo o perlomeno fargli arrivare i loro saluti. Lui, dispiaciuto, ci dice in italiano traballante (come accennato ad inizio articolo) che è purtroppo arrivato quattro ore dopo, per aver forato le gomme della sua Jaguar.
Sono attimi che scorrono veloci: mostriamo le foto scattate alla sua macchina all’arrivo spiegandogli che l’abbiamo mancato per un pelo. Quando è il turno di quella con la bandiera sul cofano, esplode in una risata di contentezza e ci chiede di fargliela avere. Per noi è sufficiente: decidiamo di ringraziarlo nuovamente per la disponibilità e ci lasciamo scappare un “Saluta i ragazzi a Vancouver”. Brian esprime il suo bisogno impellente di andare al bagno e riposarsi un po’, ma non prima di esserci scambiati ancora un paio di abbracci e salutato la sua gentilissima compagna Brenda (che tra l’altro ci ha aiutato a scattare qualche foto). Ancora increduli, pochi secondi dopo lasciamo l’hotel con i nostri piccoli grandi “trofei digitali”, riguardandoli nel display della reflex decine di volte e, per l’ennesima volta, meravigliandoci dell’estrema gentilezza ed umiltà dimostrata non solo con noi, ma con tutte le persone incontrate lungo il percorso. I suoi sinceri sorrisi nelle immagini pubblicate in questo speciale ne sono l’inconfondibile prova. Forza Brian!