In occasione occasione dei 40 anni dall’uscita di Flick of the switch, un nostro pensiero su uno degli album più sottovalutati della band.
Nonostante mezzo secolo di fama e successi, uno dei tanti luoghi comuni nella storia del rock è che gli AC/DC siano finiti con Bon Scott. Al di là della soggettiva interpretazione della suddetta affermazione, tutto cominciò con un album, Flick Of The Switch, di cui quest’anno ricorre il quarantennale dall’uscita. Era infatti l’Agosto del 1983. La voce di Brian scricchiola, le canzoni sono ripetitive e noiose, Back in Black è un’altra cosa: queste, tra le altre, le critiche ricorrenti all’epoca. Il classico lavoro “minore”, insomma. Ebbene, se oggi oltre ai classici esiste un album degli AC/DC amato dallo zoccolo duro dei fans, il primo della lista è certamente Flick Of The Switch. Come ha già scritto qualcuno, il disco non contiene hit, ne classici da fine concerto. Ma per quanto riguarda la forza, l’attitudine e l’atteggiamento puro, è uno dei migliori dell’intero catalogo. Lo definirei il “Dirty Deeds” dell’era Johnson. La leggenda narra che Malcolm, reduce dal patinato e mai amato “For those about to rock”, si presentò in studio con un LP di Muddy Waters (prodotto da Jhonny Winter) dal profetico titolo: “Hard again”. Nello stesso era incisa Mannish boy (già suonata dagli Stones) Il brano era registrato quasi live, in sottofondo si sentivano urla e grida. Questo secondo Mal doveva essere lo spirito giusto per realizzare il nuovo album: almeno in parte, riuscirono nell’intento.
L’assenza di singoli vincenti è il limite del disco e per questo è difficile segnalare un brano in particolare, essendo Flick Of The Switch un unico blocco, compatto come la roccia. Se però dobbiamo segnalarne alcuni, direi Guns for hire (gran pezzo d’apertura nei concerti) uscita anche come 45 giri che molti di Voi avranno visto e/o acquistato alle varie fiere del disco. Il fascino consumato che scorre tra le sue tracce trasuda una tale grinta, cosi autentica, da far sembrare i coevi, intossicati dall’imperante successo del fenomeno glam-metal americano, buoni forse per sventolare le Barbie. Un altro esempio è la magnetica Bedlam in Belgium, oltre alle grintosissime Brain Shake e Landslide, che infrangono i limiti di velocità con il loro graffiante rock n roll senza tempo. La chitarra “slideggiante” di Badlands anticipa le più recenti Stormy May day e No Man’s land, mentre il riff di “Nervous Shakedown” sarà come noto ripreso addirittura per la title track “Rock or bust”. Ultimo lavoro con Phil Rudd prima del rientro nel 1995, licenziato non appena concluse le registrazioni delle parti di batteria per dissidi con Malcolm mai definitivamente chiariti. Con tutto l’affetto per Wright e Slade, anche in questo disco la presenza di Rudd si sente eccome, in maniera prorompente ed incisiva. Per chi scrive, l’elemento più decisivo della band dopo i fratelli, niente di meno.
Tornando a Flick of the switch è una lavoro onesto, senza compromessi, lontano dalle produzioni di Lange e di Brendan O’ Brien, ma destinato ad una crescente rivalutazione da chi, come noi, non lo ha mai sottovalutato.
Massimiliano – Staff acdc Italia.